23-03-2020

Pandemia 18/ La gente di mare dimenticata, vessata, abbandonata

Nicola Silenti

Esplosa in Cina e straripata in Sud Corea, l’epidemia mondiale di Coronavirus ha deciso di accanirsi sull’Italia, sinora il paese più colpito del pianeta. Tuttavia, a dispetto delle appartenenze e di ogni logica settaria, è un bene constatare quanto le contromisure più o meno tempestive adottate dai nostri organi di governo nazionale e locale abbiano riscosso un unanime plauso da esperti e autorità sanitarie internazionali. Un consenso testimoniato dalle parole di Hans Kluge,direttore per l’Europa dell’ OMS, che ha manifestato il suo apprezzamento per la coraggiosa condotta dell’Italia e degli italiani in queste difficili ore, accompagnando per contro questi elogi con una critica di quegli altri stati che, perlomeno all’inizio, sembrano avere sottovalutato la funesta portata del Covid-19.

Nel comparto marittimo l’International Maritime Organization, su sollecitazione della OMS, ha provveduto sin dal 31 gennaio a emanare a tutti gli stati membri una serie di circolari contenenti le informazioni di base su come ridurre al minimo i rischi di contagio da coronavirus per il personale navigante, i passeggeri, i viaggiatori sospettati di contagio e gli addetti ai lavori tenuti a salire a bordo delle navi esposte.

Con una circolare del 2 marzo (la numero 4204/3) poi l’IMO ha tenuto a ribadire la necessità da parte di tutti gli enti interessati di divulgare tali direttive e di sollecitarne l’impiego da parte degli operatori addetti alla protezione e alla salute della gente di mare. Una solerzia che non sorprende chi pratica il mondo del mare, da sempre attento ai temi della salute e della sicurezza di chi quel mondo lo vive per professione, passione o ne incrocia i destini anche per semplice attività turistica. Colonna portante di tutto quanto attiene alla prevenzione dalle malattie ed alla difesa della salute in ambito marittimo mondiale è il Regolamento Internazionale Sanitario di Boston, adottato il 25 Luglio del 1969 a disciplina delle misure da adottare nei casi di emergenza sanitaria sia da parte del personale di bordo che delle autorità competenti. Recepito dal parlamento italiano con la legge 106 del 9 febbraio 1982, il regolamento disciplina in concreto tutta l’impalcatura normativa che regola il sistema delle certificazioni e la responsabilità dell’Autorità sanitaria in merito all’approdo nei porti di navi (e scalo di aeromobili, percorrenza di treni e veicoli stradali) e dei controlli di sicurezza su merci e bagagli, sui certificati in materia di vaccinazione, di disinfestazione, di isolamento e più in generale di ogni materia relativa alla questione sanitaria.

In concreto però il vero vulnus di tutta la vicenda Coronavirus, è quello relativo alla vulnerabilità del personale marittimo e a tutti i disagi a suo carico in queste settimane convulse. Un mondo del lavoro, quello marittimo, costretto suo malgrado all’inaccettabile cancellazione del glorioso titolo di Capitano di lungo corso, una cancellazione valsa lo smantellamento di un sistema di valori non soltanto formale, di un simbolo e insieme di uno status, pena accessoria di un comparto oggi forzato alle stesse condizioni salariali di decenni fa, a un sistema di protezioni e difese salariali tutt’altro che aitante e un corollario di corsi di formazione a pagamento, scadenze burocratiche indigeribili e sconosciute a ogni altra categoria professionale. Un mondo del lavoro piegato da anni di scelte politiche scellerate, offeso dalla cancellazione del suo ministero di riferimento e oggi alle prese con un’emergenza sanitaria, quella del Coronavirus, che rischia di essere il colpo di grazia per uno dei mondi più virtuosi e produttivi del tessuto economico italiano.

A conti fatti, nonostante la sua dirompenza sull’economia italiana è difficile rinvenire in altri comparti del Paese un uguale trattamento vessatorio e oppressivo ai danni di una singola categoria di lavoratori. Eppure chiunque conosca anche solo in superficie a quali vicissitudini sia costretta la categoria sa bene dell’infinito dedalo di certificati e marche da bollo pretesi da una burocrazia cieca e spietata, di una prassi fatta di una congerie di esami, prove e rinnovi, corsi obbligatori a pagamento e un aggiornamento delle competenze a dir poco opinabile, farcito a intervalli irregolari di visite sporadiche, esami medici accurati e un corollario di altre forche caudine tra le più pretenziose per certificare come nessun altro lavoratore, lo stato di salute, tra una visita d’imbarco e l’altra e una spunta dopo l’altra sul libretto di vaccinazione internazionale.

Di sicuro, a pochi altri settori professionali è richiesta l’osservanza di regole stringenti come quelle in vigore a bordo delle navi a prevenzione di ogni rischio di contaminazione batteriologica o virale, per non parlare dei rischi per gli equipaggi nell’approdo in aree del pianeta non equiparabili in termini di legislazione sanitaria a quelle occidentali. In ogni caso, di sicuro il Covid 19 ha complicato, se possibile, ancor più la vita della Gente di mare, senza che nessuna figura istituzionale abbia ancora imposto una qualche forma di indennità, di sussidio o altro sostegno economico per un personale navigante che adesso sta pagando il prezzo carissimo del fermo di ogni attività.

Un prezzo insostenibile che, in nessun caso, dovrà essere lasciato tutto sulle spalle e le tasche del popolo marittimo, esercito silenzioso che dopo anni di impegno e sudore si aspetta dal governo italiano, finalmente, null’altro che un cenno di solidarietà e un doveroso riconoscimento.

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