10-08-2019

QUANTI ISCRITTI HANNO DAVVERO CGIL CISL E UIL

Posted By pietrogallo 

In un contesto in cui il lavoro è sempre più  diversificato nelle forme e disperso, dove un peso crescente è attribuito alla soggettività e alla valorizzazione del merito, la rappresentanza del mondo del lavoro necessita di una vera e propria rivisitazione culturale, prima ancora che di un’unificazione delle sigle sindacali

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Scheda a cura di Greta Ardito pubblicata da lavoce .info il 7 maggio 2019, a corredo del mio articolo L’unità sindacale possibile [1]
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La Festa dei lavoratori che si celebra ogni anno il primo maggio si è distinta quest’anno per l’appello all’unificazione dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, lanciato dal neo-segretario generale della Cgil Maurizio Landini [LINK Ichino]. Nell’intervista a La Repubblica [2] uscita il giorno stesso, Landini ha invocato il rafforzamento del ruolo del sindacato, che dovrebbe allargare gli spazi della sua rappresentanza per costruire “una risposta alla frantumazione dei diritti e dei processi produttivi”. Un proposito ambizioso, se consideriamo che la presa dei sindacati sul tessuto pulsante della società si sta indebolendo da tempo; la progressiva segmentazione dei lavori e lo sbriciolamento della “classe operaia” come asse identitario ha infatti reso il lavoro dei sindacati sempre più problematico. Questa tendenza si ravvisa anche nei numeri pubblicati periodicamente sui siti delle organizzazioni sindacali, gli unici a oggi disponibili.

Il calo dei tesserati

Le serie storiche degli iscritti ai tre sindacati principali – Cgil, Cisl e Uil – non sono purtroppo omogenee, ma è comunque possibile farsi un’idea della direzione del vento. Le serie più estese sono quelle di Cgil [3] e Cisl [4] e si osservano nella figura 1.

 

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 Il calo del consenso è evidente: dall’inizio del nuovo millennio, le due principali organizzazioni sindacali hanno perso complessivamente 230.990 iscritti. È la Cgil a registrare il maggiore decremento, con un calo di oltre 154mila tesserati contro i 76 mila della Cisl. La contrazione si manifesta in modo ancora più allarmante esaminando un arco di tempo più ristretto: se osserviamo per esempio la Cgil, dal 2012 (l’anno in cui si documenta il culmine delle iscrizioni) al 2017 l’emorragia è stata di più di 473mila tesserati; lo stesso ragionamento vale per la Cisl, che dal 2010 al 2017 perde per strada 501mila iscritti.

La Uil [6] entra nel quadro in controtendenza rispetto alle altre due sigle sindacali. I dati sulle iscrizioni sono disponibili soltanto a partire dal 2015, ma nel periodo in considerazione non ha subito alcun tracollo. Nel 2017 l’organizzazione sindacale ha visto al contrario incrementare il proprio portafoglio del tesseramento di 26,5 mila iscritti, pari a una crescita dell’1,4 per cento rispetto al 2015.

La buona performance della Uil non è comunque sufficiente per controbilanciare un orientamento piuttosto avvilente. Sommando le variazioni negative di Cgil e Cisl dal 2015 al 2017 e quella positiva della Uil, la fotografia che risulta si può analizzare in figura 2: un deflusso totale di quasi 520mila tesserati.

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Anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) raccoglie i dati sulle adesioni ai sindacati dai siti dei sindacati stessi. Il loro indice trade union density [8] – definito come il rapporto tra il numero di lavoratori iscritti a un qualunque sindacato e il totale dei lavoratori – conferma un calo manifesto delle iscrizioni ai sindacati italiani a partire dal 2013 (figura 3). Il trend sembra tuttavia meno severo rispetto a quello delineato considerando soltanto i valori assoluti; il tasso di penetrazione del sindacato si aggira infatti sempre nell’intorno di 33-36 per cento sul totale dei lavoratori. Questa relativa stabilità si spiega probabilmente osservando che l’indice Ocse è costruito in rapporto agli occupati: è possibile quindi che i numeri assoluti delle iscrizioni scendano anche in ragione di una riduzione più generale degli occupati.

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Differenze regionali

Gettiamo infine uno sguardo all’andamento delle iscrizioni ai sindacati nelle singole regioni italiane. Per farlo utilizziamo i dati forniti dalla Cgil, i più granulari e adatti allo scopo. Come si evince dalla figura 4, le prime cinque regioni interessate dal calo dei tesserati tra il 2001 e il 2017 sono territori attualmente governati dal centrosinistra: svetta la Campania con un’emorragia di 61mila iscritti, seguita da Puglia, Emilia Romagna, Calabria e Piemonte. Sul versante opposto, il primato delle regioni caratterizzate da un aumento delle iscrizioni spetta al Veneto con all’attivo 40mila adesioni in più, alla Sardegna con 20mila tesserati in più e al Trentino Alto Adige con circa 10mila nuove iscrizioni.

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Un cambio di paradigma

 La crisi delle organizzazioni dei lavoratori è un fenomeno noto. È opinione comune che, di fronte al mutare delle tipologie di impiego e delle condizioni di lavoro, i sindacati non abbiano saputo fornire risposte chiare e utili. Forse anche per la composizione stessa dei propri tesserati – in alcuni casi per il 50 per cento pensionati. Forse perché di piazze ce ne sono ormai tante, soprattutto quelle digitali. Certo è che in una realtà dove il lavoro si fa sempre più diffuso nei luoghi e nelle forme e dove un peso crescente è attribuito alla soggettività e alla valorizzazione del merito, la rappresentanza del mondo del lavoro necessita di una vera e propria rivisitazione culturale, prima ancora che di un’unificazione delle sigle.

 

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