Logica e buon senso non sembra
stiano prevalendo nel dibattito in corso nella cosiddetta
riforma del mercato del lavoro (Job act la chiamano, sennò
che riforma sarebbe se fosse declinata in italiano….).
Siamo , infatti di fronte a una
“grande bugia”.
Si vuol far credere (e purtroppo
in molti “abboccano”) che la soluzione o quanto meno
l’uscita dalla profonda e persistente crisi dell’economia, e
non soltanto dell’economia, sia possibile affrontando un
“conflitto generazionale”, tra l’altro definito in termini
assai incerti e relativi (è vecchio e obsoleto tutto ciò che
non condivide le mie idee, è moderno e progressivo chi le
accetta e condivide), e riducendo le tutele dei lavoratori,
favorendone di fatto la precarietà e sostituendo il loro
“reintegro” per i licenziamenti con indennizzi più o meno
definibili “a garanzie crescenti” sempre, comunque in
termini monetari. E, spingendoci sempre più innanzi su
questa strada, ecco un’altra “trovata” del progetto: ridurre
progressivamente la influenza della “contrattazione
permanente”, offrendo così al datore di lavoro la
possibilità di procedere unilateralmente nel demansionamento
del lavoratore/lavoratrice e nella predisposizione dei
controlli a distanza. Tutto ciò seguendo un disegno
che muove dalla volontà di declassare il contratto
nazionale attraverso la clausola del cosiddetto “salario
minimo nazionale” e introdurre e dare impulso ad una sorta
di alternatività, su scelta del datore di lavoro, tra il
contratto nazionale e il contratto aziendale. Un disegno
questo che non solo ridurrebbe gli spazi per la tutela dei
lavoratori e lavoratrici specialmente nei settori
particolarmente esposti ai processi di liberalizzazione e
privatizzazione, per i quali i CCNL ha spesso dovuto
surrogare la carente legislazione per la loro tutela nei
cambi di appalto e passaggio di azienda, addirittura
potrebbe configurarsi quale obiettivo per passare
dall’attuale sistema di tutele collettive al contratto
individuale negoziato direttamente tra
lavoratrici/lavoratori e il datore di lavoro.
Si proclama la volontà di
assumere provvedimenti che vanno verso la eliminazione del
precariato, e nel contempo si propone invece di estendere
il cosiddetto “lavoro accessorio pagato…., in vaucher.
E adesso, basta. La “grande
bugia” non può, non deve incantare nessuno. Non noi, di
certo, non il movimento sindacale (“in primis” la nostra
UIL e la UILTRASPORTI).
Ben altra la “medicina per la
cura”. Occupazione in continua decrescita, disoccupazione
giovanile in aumento (e a cifre vertiginose…), cala la
domanda dei beni, latitano gli investimenti (anche e
soprattutto in settori e in aziende dove “non c’è l’art.
18).
E allora? Crescita e sviluppo non
si realizzeranno mai fintanto che non aumenterà la domanda
dei beni; se la fiscalità rimarrà agli attuali livelli nel
nostro Paese sarà pressocchè impensabile far ripartire la
domanda aggregata e intercettare investimenti esteri (e
anche nostrani…); le attuali diseconomie produttive
continueranno ad essere un ostacolo alla competitività e
alla diffusione delle merci. Parliamo delle “mitiche”
lentezze burocratiche, dei “lacci e lacciuoli” del credito
bancario, del costo dell’energia, della carenza di un
organico piano nazionale dei trasporti, troppe volte
sollecitato, anche da noi della UILT, ma mai preso in seria
considerazione.
E la diffusa corruzione
dell’amministrazione pubblica (ma non solo) l’evasione
fiscale da “terzo mondo” (vedi le classifiche delle
organizzazioni internazionali), non sono forse altrettanti
fenomeni negativi che limitano la possibilità di crescita e
di sviluppo? E come si fa a chiedere agli investitori
stranieri di rivolgersi al nostro Paese se non offriamo loro
coerenti e credibili piani industriali, infrastrutture
all’altezza di sviluppare l’attenzione, leggi che
sconsigliano il proliferare di egoismi individuai generati
dall’assenza di una visione “sociale” della ricchezza da
produrre, come del resto vorrebbero gli stessi dettati
costituzionali di una repubblica fondata sul lavoro?
Il lavoro…. cos’è il lavoro, una
merce? Una “cosa” che si paga e che quindi conviene pagarla
il meno possibile, o non è, per caso, un diritto della
persona umana, del cittadino, diritto che nobilita e da
sostanza a una democrazia?
Ci sono in Italia diseguaglianze
“cosmiche” che solo a censirle fanno accapponare la pelle.
Lo abbiamo più volte sottolineato nei nostri interventi
editoriali e congressuali. I nostri lettori, i nostri
iscritti, coloro che in qualche modo ci seguono nella nostra
azione li avranno ormai imparati a memoria. Non si tratta
qui di predicare l’“eguaglianza” ma per lo meno la “buona
creanza”. Qualche milione di euro al mese per un “vip” e
meno di mille euro al mese per un giovane laureato, che si
affaccia con molte speranze alla vita lavorativa,
ricavandone spesso frustrazione e incertezze. Vi pare una
realtà accettabile? Ci raccontano che è finita l’era “fordista”
E allora? Ammesso che sia così, che vuol dire che adesso
siamo nell’era dell’arrangiati se puoi, e non disturbare il
manovratore (o l’uomo solo al comando, che ora si chiama
così…).
E no, non ci siamo proprio.
Vorrebbero “tarparci le ali” con una frase dai toni e dai
contenuti inaccettabili.
“Se la situazione è così
catastrofica come dite voi, ci obbiettano, il sindacato che
ci stava a fare in tutti questi anni? E’ anche colpa vostra
se questo Paese sta andando in malora.
Andiamoci piano: abituati ormai
ad usare bugie su bugie per descrivere una situazione, fate
finta di dimenticare che tutto, ma proprio tutto, quelle
carenze che finora abbiamo denunciato non sono dovute al
movimento sindacale ma a chi ha concepito, varato e attuato
leggi e provvedimenti errati, insufficienti, clientelari,
populisti o controproducenti per l’economia, il progresso,
la crescita e lo sviluppo del Paese.
Le leggi, la giurisdizione, il
governo della Nazione non sono compiti del Sindacato, la
cattiva politica non è frutto dei nostri errori, ma degli
errori di chi ha governato. Noi pure, è vero, abbiamo
compiuto degli errori, che siamo pronti a riconoscere e a
rimediare.
Abbiamo avuto fiducia in molte
assicurazioni ripetutamente date da governi di ogni specie e
natura, (combatteremo l’evasione fiscale, la corruzione, la
malavita organizzata, la violenza … e via così). E ora,
queste “piaghe” sono scomparse dal corpo del nostro Paese?
Fate voi…
Adesso non vogliono nemmeno
“discuterne” con noi. Dicono che bastano loro a risolvere i
problemi di questo Paese. “Loro “ sarebbero i politici “in
carica”: “poteri forti” (non è vero che non esistono, ci
sono, eccome… dell’ “alta finanza”). E magari i “dettati”
della U.E. che ci sottrarrebbero una parte della sovranità.
Non è questa, a nostro avviso, la
strada giusta.
Siamo convinti che per uscire dal
tunnel occorra uno sforzo comune e responsabile che si giovi
del contributo di tutte le forze che esprime il Paese e che
rispecchiano interessi, aspirazioni, bisogni e prospettive
dell’intero corpo sociale.
E per questo siamo pronti a fare
la nostra parte. Non per prevaricare ma per portare a
sintesi le ragioni di tutti senza velleità di “voler
vincere, si tratta di salvare il Paese.
L’azienda, l’ambiente, il lavoro,
la cultura, la sicurezza, la salute ….nessuno può voler dire
“è cosa mia”. C’è un etica in tutto questo? Può darsi: e
vorremmo che fosse condivisa.
Il Segretario Generale
Claudio Tarlazzi